sabato 21 luglio 2012

UNIONE EUROPEA

Giuseppe Guerrera
6 ore fa


Nell’agosto del 2008, nella quasi indifferenza generale degli italiani, veniva ratifi-cato il Trattato di Lisbona.
Il Trattato di Lisbona ha l’obiettivo di portarci verso una identità europea intesa come unità di popolo. Perché non ci è stato chiesto se eravamo d’accordo? Forse noi italiani, considerando la atavica sfiducia che abbiamo verso la nostra classe politica, avremmo anche potuto accettare una simile prospettiva e riporre le nostre istanze nei Commissari europei, ben contenti di non doverle più rivolgere ai nostri governi. Considerando che non abbiamo mai preso sul serio la nostra identità na-zionale, avremmo sicuramente aderito alla prospettiva di una identità europea senza prendere sul serio nemmeno quella. Ma il punto è un altro: perché non siamo stati consultati? Cosa nascondeva il Trattato di Lisbona? Una eventuale con-sultazione popolare avrebbe sicuramente messo in luce alcune storture che sono in grave dissonanza con la nostra Costituzione italiana.

Il Trattato di Lisbona preve-de la possibilità per l’Europa di entrare in guerra e si pone in stridente contrasto con l’art.11 della nostra Costituzione: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Il Trattato favorirà il libero mercato rafforzando il valore speculativo della finanza a scapito del valore sociale. Ciò comporterà inevitabil-mente un divario sempre più incolmabile tra classi ricche, che diventeranno ric-chissime, e classi disagiate, che diventeranno poverissime. Se vogliamo in qualche modo prefigurarci uno scenario già noto possiamo guardare al Brasile. Il “diritto al lavoro” non compare nel Trattato mentre era presente nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Al posto del “diritto al lavoro” è stato inserito il “diritto alla libertà di commercio”. Ciò significa che il libero mercato spazzerà via completamente gli aspetti sociali delle politiche nazionali sul lavoro.

Ci avvie-remo alla dittatura del capitalismo neoliberista. Anche in questo il Trattato si pone in contrasto con l’art.36 della nostra Costituzione: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso suf-ficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa” . Le so-vranità nazionali saranno superate dalle limitazioni imposte dal Trattato e solo L’Unione europea potrà legiferare su un numero piuttosto consistente di questioni, con atti giuridicamente vincolanti per tutti gli stati membri, anche su materie che prima erano riservate alle legislazioni nazionali senza per questo pregiudicare l’armonizzazione della legislazione europea.

Senza considerare che i Commissari europei che si occuperanno di legiferare non saranno eletti in libere elezioni de-mocratiche.

Anche per questo il Trattato si pone in contrasto con l’art.1 della Co-stituzione: “La sovranità appartiene al popolo”. Il Trattato di Lisbona è stato vota-to dal Senato e dalla Camera dei Deputati all’unanimità. Perché?

Carla Corsetti
Segretario nazionale di Democrazia Atea
www.democrazia-atea.it



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Giuseppe Guerrera FAMIGLIA

Il matrimonio è una invenzione giuridica. L'unione naturale è l'unione di due per-sone , uomo-donna, donna-donna, uomo-uomo. Queste unioni sono sempre esistite in natura e solo con l’invenzione delle religioni sono state disciplinate nella finalità della procreazione e nella certezza della paternità.

Ma le società naturali non hanno più senso nel confinamento giuridico del matrimonio.
Non ha più senso dire che la famiglia è “fondata sul matrimonio” come recita l’art. 29 della Costituzione.

Una auspicabile riforma costituzionale dovrebbe portare alla seguente formulazione: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale” eliminando l’inciso seguente.
Il concetto di famiglia ha radici essenzialmente economiche.
I nuclei primitivi giustificavano il gruppo inteso come famiglia perchè era funzionale alla sopravvivenza della specie e alla capacità di procurare cibo.
Gli ultimi cinquemila anni ci raccontano diverse forme familiari, sempre necessitate dall'economia e dall'istinto sessuale.

La storia contemporanea ci offre modelli familiari che superano i modelli conosciuti e superano anche il concetto, tradizionalmente inteso, di famiglia come unione eterosessuale con finalità pro-creative.

Un nucleo familiare può ben essere costituito da soggetti che non hanno la finalità procreativa (gay e lesbiche) , oppure che hanno un legame affettivo (non necessariamente sessuale) senza finalità alcuna, se non il compiacimento e il reciproco sostentamento nella convivenza (nonna e nipote).

Queste forme familiari devono trovare tutela giuridica.
Del resto “ordinare gli istinti” non significa necessariamente reprimerli.

Nella progressione delle civiltà diventa inevitabile l'allontanamento dalle forme tradizionali e questo significa essenzialmente prendere atto della necessità di attuare nuove forme di tutela nel rispetto delle libertà individuali e collettive.
www.democrazia-atea.it